la blank expression

Blank Expression Please

Un esercizio che consiglio sempre a chi si occupa di fotografia è quello di visionare i numerosi lavori presenti sul sito dell’Agenzia Magnum.

Un buon modo per capire dove sta andando la fotografia, soprattutto per quanto riguarda ciò che una volta si chiamava reportage e oggi possiamo più genericamente definire storytelling.

donna guarda in macchina con espressione neutra

Il reportage, come declinato nel Novecento, basato sull’azione, sul vivere gli eventi e comunicarli durante il loro svolgimento, ha lasciato il passo ad una documentazione più lenta, ad un approccio più ricercato. L’”aftermath”, la narrazione delle conseguenze, del dopo, più che dei fatti nel momento in cui accadono.

Una trasformazione legata ai grandi cambiamenti degli ultimi anni, con la scomparsa dei grandi magazine pronti ad investire e pagare il fotografo da spedire in prima linea. Oggi le immagini di attualità arrivano attraverso la tv in tempo reale oppure attraverso i cellulari di chi vive in prima persona l’avvenimento.

Il fotografo deve fare i conti con questi cambiamenti e cercare di proporre lavori di grande respiro magari da piazzare a clienti diversi. Un freelance che prepara i propri progetti con grande attenzione, con un linguaggio e un mood che vada incontro a mercati diversi.

Tornando al sito della Magnum, si possono trovare lavori veramente di grande livello, di grande professionalità, molti dei quali però appiattiti da uno stile “pret a porter”,  quello che è più aderente agli attuali canoni di narrazione fotografica.

alec soth

Ecco che allora, a contestualizzazioni più o meno anonime (un po’ di oggettivismo non fa mai male…), si alternano ritratti posati con l’immancabile “blank expression” che fa tanto Alec Soth. I colori sono molto spesso tendenti al freddo, sono del tutto bandite inquadrature troppo creative. Foto buone per la pubblicazione o anche da esporre in qualche galleria. L’uso del grande formato diviene una sorta di feticcio da sbandierare, un’arma in più per entrare nel mercato dell’Arte Contemporanea.

Le immagini sono impeccabili, quello che manca, forse, è l’anima, la personalità dell’autore nascosta dietro ciò che è di tendenza nella fotografia dei nostri giorni. Un meccanismo del tutto legittimo, se applicato da chi deve vendere il proprio lavoro e soddisfare l’esigenza del cliente.

Questa tendenza, però, la si può notare anche al di fuori dei fotografi professionisti. Basta vedere le fotografie presenti nei maggiori concorsi internazionali dove accanto ai professionisti partecipano anche gli amatori.

Ma non si ferma qui l’influenza di questo tipo di fotografia, non ne sono immuni neanche le scuole di fotografia e i numerosissimi corsi di tutti i livelli. A proposito: esistono ancora fotografi che non tengono corsi di fotografia? Una moltitudine sterminata di offerte formative destinate ad un esercito di improbabili fotografi pronti a ricopiare le foto e gli stili del momento.

Blank Expression Please

Il minimo comune denominatore, di praticamente tutti i reportage contemporanei, è la “blank expression”. Sembrerebbe che non si possa prescindere da questo tipo di ritratto dalle connotazioni spesso stranianti.

Su wikipedia trovo questa definizione:

Un’espressione vuota, caratterizzata dal posizionamento neutro dei tratti del viso, che implica una mancanza di forti emozioni. Può essere causato da mancanza di emozioni, depressione, noia o leggera confusione, come quando un ascoltatore non capisce ciò che è stato detto. Un’altra possibile causa di un’espressione vuota è una lesione cerebrale traumatica come una commozione cerebrale.

Prendiamo due autori a caso rappresentati da Magnum Photos: Nanna Heitmann e Patrick Zachmann.

Quello della Heitmann è un bellissimo lavoro sulle zone più isolate della Siberia e della Ruhr. Non metto in dubbio la professionalità e la bravura dell’autrice, voglio solo evidenziare il linguaggio comune ormai utilizzato più o meno da tutti i fotografi che si dedicano al reportage. In queste tre foto estratte da un lavoro molto più vasto, possiamo vedere: contestualizzazione, foto oggettiva e ritratto posato con “blank expression”.

Con Patrick Zachmann siamo invece in Colombia, ma l’impostazione è più o meno la stessa. Quello che più di altro lascia perplessi sono, a mio avviso, i ritratti. Sempre la stessa “non espressione” che si tratti di minatori, agricoltori, uomini d’affari o adolescenti problematici. Una sorta di marchio comune a tutti i fotografi contemporanei e purtroppo ai loro discepoli.

Sembrerebbe quasi che oggi non possa esistere un reportage fotografico senza questo tipo di ritratto posato. Il rischio evidente è l’omologazione del linguaggio fotografico, soprattutto quando questo stile viene insegnato o copiato in modo passivo, senza la ricerca di una nuova strada. Una strada del tutto personale, una visione più difficile da imporre, ma sicuramente meno noiosa e scontata.

Le mode e le tendenze ci sono in tutti i campi, ma solo chi riesce a crearne di nuovi può aspirare a lasciare un segno ed essere ricordato.

Aspettiamo con fiducia il nuovo Alec Soth.

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