Le parole sono importanti



Le parole sono importanti”, ammoniva Nanni Moretti in uno dei suoi indimenticabili film: Palombella rossa. Lo sono, anche quando si parla di fotografia.


Affinché una foto trasmetta un messaggio preciso e susciti una risposta emotiva, il pubblico deve comprendere ciò che sta guardando. Poche immagini possono esistere senza un testo che le accompagni, un titolo o una didascalia.


Denotativo e connotativo sono i due piani di lettura delle fotografie. Nel primo caso, oggetto dell’osservazione, è la foto in se stessa: il soggetto o i soggetti, la luce utilizzata, eventuali tecniche particolari. Il piano connotativo, invece, è quello dei significati. Qui le cose si fanno decisamente più complicate. Roland Barthes sosteneva che le foto sono “un messaggio senza codice, aperto a molte letture”. Questo le rende particolarmente ambigue.

A differenza del linguaggio scritto o parlato non esiste, quasi mai, un codice comune tra mittente e destinatario per le fotografie. Se dico o scrivo “casa” e il mio interlocutore conosce il mio codice, comprende la mia lingua, il messaggio arriverà diretto, senza possibilità di fraintendimenti. In una immagine ciò non è possibile, c’è sempre bisogno di una interpretazione, uno sforzo del fruitore inevitabilmente influenzato dalla sua esperienza, cultura o predisposizione.

Per questo, quando diciamo che una fotografia vale più di mille parole stiamo sopravvalutando la sua capacità di comunicare. Sono veramente poche le immagini capaci di tanto. Sono quelle in grado di esprimere, partendo da una situazione particolare, un concetto generale. In questo caso parliamo di fotografia iconica.


La maggior parte ha bisogno di essere spiegata con un testo, una didascalia o un concept. Susan Sontag sosteneva che “ogni fotografia aspetta di essere spiegata o falsificata da una didascalia” e portava l’esempio di uno scatto utilizzato durante la guerra in Bosnia dalle opposte fazioni per condannare le atrocità commesse dal nemico. L’utilizzo di didascalie diverse e contrapposte permetteva questo utilizzo indiscriminato.

Se l’ambiguità può essere un obiettivo desiderabile nell’arte fotografica, nel contesto giornalistico la didascalia è cruciale quanto l’immagine stessa.


Walter Benjamin, teorico della cultura, affermava che “le didascalie trasformano la fotografia da oggetto estetico a veicolo di informazioni preziose”.

Le foto possono essere considerate un linguaggio universale, ma la loro interpretazione dipende dal relativismo culturale dello spettatore. Senza didascalie o un testo a supporto, il fotografo perde l’opportunità di guidare lo spettatore nel suo viaggio narrativo.


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