L’Antropocene di Burtynsky
Il 6 settembre 2023 è stata una data storica, una notizia purtroppo passata quasi inosservata sui giornali italiani. ll Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha annunciato che “il collasso climatico è iniziato”, dopo che l’Osservatorio europeo Copernicus ha dichiarato che il 2023 sarà probabilmente l’anno più caldo della storia.
Parole che suonano quasi come una resa di fronte alla possibilità di invertire la rotta, di poter contrastare la catastrofe a cui il mondo sembra inesorabilmente destinato.
Si ha l’impressione, di fronte al silenzio assordante dei media, che il cambiamento climatico sia diventato una “non notizia”, degna di balzare agli onori delle cronache solo quando si manifesta con alluvioni, incendi e ondate di caldo. Un problema che, come accade quando ci si trova a pensare al senso della vita e alla sua conclusione, la morte, diventa rapidamente e semplicemente insostenibile.
Insostenibili alla visione non sono, invece, le immagini belle e terrificanti allo stesso tempo, prodotte da Edward Burtynsky negli oltre 40 anni di impegno nella denuncia dei disastri ambientali perpetrati dall’uomo in ogni angolo del pianeta.
Nato a St. Catharines nell’Ontario, il fotografo canadese si occupa da sempre del territorio e degli insanabili guasti causati dall’attività umana.
Le sue immagini in grande formato, che a prima vista, si palesano per la loro qualità estetica, per le geometrie e i colori, in realtà nascono dall’osservazione delle ferite inferte dall’uomo al nostro pianeta.
Fiumi ridotti a scarichi di liquami, montagne squarciate per estrarre minerali, chiazze di petrolio nel mare divengono paesaggi astratti, forme e colori che lo spettatore si trova in un primo momento ad ammirare per la loro armonia. A questo senso di stupore si sostituisce, rapidamente, lo straniamento provocato dalla presa di coscienza che quella bellezza in realtà è generata da qualcosa di terribile, dal grido di dolore di un mondo in agonia, dall’impatto dell’industria umana sulla natura.
Le cicatrici della terra, il rapporto controverso e conflittuale tra l’uomo e la natura, sono al centro di tutta la produzione artistica di Edward Burtynsky.
Una dicotomia quella tra forma e contenuto, tra bellezza e dramma che genera una forte dissonanza cognitiva in chi osserva le sue opere, spesso realizzate in grandissimo formato e da grande distanza con l’utilizzo di elicotteri. Un paesaggio, quello del fotografo canadese, oggetto di usurpazione da parte dell’uomo, piegato alle nostre esigenze quotidiane di consumo, trasporto, trasformazione. Plasmato per poter soddisfare i bisogni di una popolazione sempre più assuefatta a uno stile di vita dal quale non riusciamo ad allontanarci. Eccoci all’ora nell’Antropocene, l’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala locale e globale dagli effetti dell’azione umana.
Antropocene è anche il titolo di uno dei lavori di Edward Burtynsky, forse il più emblematico di questo autore che ha fatto dell’ambiente il motivo della sua costante osservazione del mondo.
Il Progetto Antropocene può essere considerato come la summa di tutta la sua ricerca. Un approccio multidisciplinare che combina fotografia d’arte, film, realtà virtuale, realtà aumentata e ricerca scientifica e che vede la collaborazione tra Nicholas de Pencier, Edward Burtynsky e Jennifer Baichwal. Originariamente concepito come una serie fotografica, Antropocene si è presto evoluto fino a includere installazioni cinematografiche, murales ad alta risoluzione su larga scala arricchiti da estensioni di film, cortometraggi VR a 360° e installazioni di realtà aumentata.
Con l’utilizzo di tecniche innovative, Burtynsky e i suoi collaboratori hanno intrapreso un viaggio epico intorno al mondo durante il quale sono state catturate le prove più spettacolari dell’influenza umana. Il risultato è una raccolta multimediale di esperienze che trasportano lo spettatore nel nuovo mondo completamente antropizzato, mostrando tutta la gravità e l’impatto delle azioni dell’uomo con un’efficacia che va oltre la portata degli schermi e delle stampe convenzionali. Un’immersione completa che impedisce all’osservatore di chiudere gli occhi di fronte alla catastrofe che stiamo provocando.
A partire dal 2018 il progetto è stato allestito ed esposto in tutto il mondo. In Italia è stato presentato nel 2019 alla Fondazione MAST di Bologna.
Le straordinarie fotografie di paesaggi industriali di Edward Burtinsky sono incluse nelle collezioni di oltre sessanta dei più importanti musei di tutto il mondo, tra cui la National Gallery of Canada a Ottawa, il MoMA e il museo Guggenheim di New York, il Los Angeles County Museum of Art in California e il museo Reina Sofia di Madrid.
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