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Dadaismo e fotografia

Fin dalla sua nascita, la fotografia ha una relazione piuttosto controversa con le altre arti. Un rapporto assai diverso nei confronti di questo nuovo medium ha invece il dadaismo.

Il movimento teorizzato da Tristan Tzara, nato nel 1916 a Zurigo, mette in discussione l’arte in tutte le sue forme. Dada, rompendo tutti gli schemi, pone una distanza insormontabile con le esperienze dell’arte tradizionale e adotta chiavi espressive innovative.

Bersaglio del dadaismo è il perbenismo e la borghesia, la guerra come manifestazione più aberrante del dominio dell’uomo sull’uomo.

Dadaismo e fotografia

I dadaisti capiscono subito che la fotografia non è solo un mezzo di riproduzione costituito da un obiettivo e da un diaframma, ma anche camera oscura e materiale sensibile. Ciò significa poter manipolare le immagini dando largo spazio al caso, all’imprevisto e al non senso.

Con la sperimentazione, il collage e il fotomontaggio contribuiscono a rivoluzionare il concetto di arte che arriverà alle estreme conseguenze con il concettualismo degli anni sessanta e settanta.

Riscriviamo la vita di tutti i giorni” afferma Hugo Ball, animatore delle serate del Cabaret Voltaire dove si ritrovano i dadaisti a Zurigo. Nella loro visione, la fotografia non ha nulla in comune con la pittura, ma si identifica nella vita. E se la vita sostituisce l’arte, allora la fotografia è espressione artistica allo stato puro, forse lo strumento più adatto all’estetica dadaista.

Sostiene Ugo Mulas:

Al fotografo il compito di individuare una sua realtà, alla macchina quella di registrarla nella sua totalità. Due operazioni strettamente connesse ma anche distinte, che curiosamente, richiamano nella pratica certe operazioni messe a punto da alcuni artisti degli anni venti: penso ai ready made di Duchamp…”.

La fotografia, quindi, come ready made più che come imitazione di un quadro.

Le immagini fotografiche divengono capaci di attuare un processo di risemantizzazione allo stesso modo delle opere di Duchamp.

John Heartfield, Raul Hausmann e Hannah Hoch

John Heartfield, Raul Hausmann e Hannah Hoch sono gli artisti, che più di altri, all’interno del dadaismo utilizzano le tecniche del fotomontaggio e del collage. Spesso al servizio della satira politica, i fotomontaggi di Heartfield accostano immagini molto diverse, incuranti della prospettiva o del rispetto delle proporzioni.

Di se stesso afferma: “il pittore dipinge con i colori, io dipingo con le fotografie”. Può ritenersi uno degli artisti più politicizzati del movimento. Le sue opere trovano nei giornali dell’epoca, più che nei circuiti artistici, la loro naturale destinazione. Frammenti prelevati dalla stampa ritornano così alla loro origine dopo un processo di risignificazione.

Diverso è l’approccio di Hannah Hoch che integra i fotomontaggi con interventi di pittura e inserimento di altri materiali. Un’interprete raffinata del movimento, tra le prime ad intuire le potenzialità evocative di questo mezzo espressivo. Grazie al suo lavoro in una casa editrice, reperisce con grande facilità le immagini da quotidiani, riviste popolari e di moda. Con le sue opere dai toni più intimi e delicati, paragonati a quelle di Heartfield e Hausmann, affronta temi anche lontani dalla poetica del movimento, come la condizione della donna nella Germania dell’epoca.

Il Dadaismo vede il suo declino alla fine degli anni venti dello scorso secolo, ma il suo spirito anarchico e la sua influenza sulla fotografia sono durati nel tempo. Molte delle tecniche sperimentali adottate dai dadaisti trovano un posto nella pratica fotografica contemporanea, influenzando movimenti successivi come il Surrealismo e l’Arte Concettuale.

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