Il labile confine tra realtà e finzione
Con il mio portfolio fotografico “Gli Elfi di Helgasson” ho provato ad esplorare il labile confine tra realtà e finzione.
Un confine molto ben analizzato da Joan Fontcuberta nei suoi libri e nei suoi lavori fotografici. Per il fotografo e saggista spagnolo la fotografia mente sempre. La sua produzione e i suoi “esperimenti” a cavallo tra comunicazione, sociologia e antropologia lo confermano senza molti dubbi.
L’autorevolezza della fonte diviene determinante per la persuasione. Del resto in ambito comunicativo sono stati condotti molti studi in questo senso già a partire dagli anni ’50 del secolo scorso.
Nel mio piccolo ho cercato di riprendere questi concetti, creando una storia inverosimile, ma plausibile. Tutto parte da un mio viaggio in Islanda. Cercando notizie su quest’isola dell’estremo nord Europa, mi sono imbattuto in alcuni articoli che descrivono il rapporto tra gli islandesi e le storie legate agli Elfi, mitiche figure della tradizione norrena. Con mia sorpresa ho appreso che ancora oggi, il 62% degli islandesi non esclude la possibilità dell’esistenza di questi esseri.
Il portfolio
Il portfolio realizzato nasce dalla “falsa notizia” del ritrovamento, in una soffitta di una vecchia casa nel nord dell’Islanda, di alcune fotografie e documenti realizzati da Spessi Helgasson, un personaggio mai esistito, che nella seconda metà del 1800 sarebbe riuscito ad entrare in contatto con un gruppo di Elfi, fotografarli e studiarne i comportamenti. Queste magiche creature, dapprima diffidenti, avrebbero poi consentito a Helgasson di avvicinarli, trascodificare il loro alfabeto e il loro sistema numerico.
Per costruire la storia, ho realizzato appositamente delle foto di paesaggi islandesi nei quali ho inserito digitalmente delle immagini di Elfi, realizzate con applicazioni di intelligenza artificiale. Le foto sono state poi “antichizzate” e incollate su cartoncini, anch’essi sottoposti a invecchiamento.
In aggiunta ho utilizzato altre foto e documenti arricchiti da didascalie e ho realizzato un ritratto di Spessi Helgasson servendomi di una applicazione di intelligenza artificiale.Per rendere il tutto “definitivamente credibile”, la copia di un articolo pubblicato sul quotidiano Morgunblaðið (Il giornale del mattino) con la notizia del ritrovamento del materiale fotografico.
Le foto degli Elfi, chiaramente inverosimili, lasciano aperta la possibilità che la storia sia reale, soprattutto grazie all’apparato comunicativo e persuasivo a supporto della narrazione.
Da tempo ormai la fotografia non è più garanzia di verità e forse non lo è mai stata. Viviamo nell’epoca delle fake news e delle sintografie realizzate con l’AI. Creare storie apparentemente vere diviene sempre più alla portata di tutti.
“Il bacio di Giuda” di Fontcuberta ci insegna che qualunque fotografia mente e può essere utilizzata per qualsiasi forma di propaganda, sia che si tratti di convincere dell’esistenza degli elfi, sia che venga utilizzata per influenzare campagne elettorali o dare un’idea distorta di un evento. In una società, sempre più facilmente manipolabile, diviene allora indispensabile dotarsi di un “occhio critico” che ci difenda dall’illusoria promessa dell’oggettività fotografica.
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