Vedere per credere o credere per vedere? Secondo i Vangeli, Tommaso, informato dagli altri Apostoli della resurrezione del Signore, risponde che crederà solo dopo aver visto di persona e aver toccato con mano i segni della passione.
La storia di San Tommaso, in un periodo come quello attuale, diventa emblema del nostro smarrimento di fronte alle immagini che ogni giorno ci vengono proposte dai media.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa dovremmo, forse, fare come San Tommaso e dubitare di ciò che stiamo vedendo?
Riconoscere le immagini create con l’AI diviene ogni giorno più difficile. Se oggi, all’occhio di un fotografo o di una persona comunque esperta, riconoscere una sintografia da una fotografia è ancora possibile, molto probabilmente non lo sarà più già tra qualche mese.
Al momento ci sono ancora degli indizi che ci possono far dubitare, che ci aiutano a capire che tipo di immagine abbiano di fronte. Le mani sono forse il “tallone d’Achille” delle AI. Si notano spesso sintografie, all’apparenza foto realistiche, con arti deformi, con 6 o 7 dita o con dita mancanti, con la pelle troppo perfetta.
Per ovviare a questo problema si ricorre in genere a photoshop. Una sorta di post produzione al contrario, per generare imperfezioni. Altro problema che incontrano le AI sono i testi all’interno delle immagini. Insegne, cartelloni, etichette spesso sono generate con caratteri strani o scritte senza senso.
In nostro soccorso arrivano così applicazioni online. Si carica l’immagine o si inserisce il link e ci viene restituita la fatidica risposta: fotografia o sintografia, vero o falso.
Ormai “vedere per credere” sembrerebbe non essere più sufficiente, ma forse non lo è mai stato. La fotografia, fin dalle origini, ci ha palesato la sua impossibilità di rappresentare in modo oggettivo la realtà. Proprio per questo bisognerebbe sempre porsi di fronte ad un’immagine con spirito critico.
Nei mesi scorsi abbiamo visto le immagini generate con l’AI di Donald Trump arrestato e portato via a forza dalla polizia. Erano abbastanza inverosimili, presentavano alcune incongruenze, eppure molte persone hanno creduto a quella falsa notizia.
Viviamo nella società delle immagini, in quella che è stata definita “iconosfera”, citando Fontcuberta siamo travolti dalla “furia delle immagini”.
Ci vorrebbe una cultura visiva diffusa, da insegnare nelle scuole ai ragazzi. Qualche tempo fa si insegnava “educazione civica”, forse oggi ci vorrebbe una “educazione alle immagini” per potersi districare con consapevolezza in un mondo sempre più complesso.
Ritornando al nostro “vedere per credere”, forse dovremmo sostituirlo con “verificare per credere”, a costo di diventare tutti un po’ più “diffidenti”.
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